I VIAGGI STUDIO IN CINA, ATTRAVERSO GLI OCCHI DI UN ALLIEVO

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E’ da tanto tempo che non scrivo, da troppo. La scrittura è forse una delle pratiche più liberatorie e terapeutiche che un uomo possa compiere, non solo perché ci si deve confrontare con se stessi, ma perché nel riportare alla luce alcuni aspetti del nostro io attraverso un rapporto dialettico tra anima e ragione, e la tensione a rendere il tutto intellegibile, avviene una vera e propria catarsi. Avrei potuto iniziare questo articolo sui i viaggi in Cina in modo più asettico e giornalistico, e una prima bozza era effettivamente così, linguaggio asciutto e diretto. Tuttavia un viaggio è come un rapporto intimo, limitarsi a descriverlo può permettere al lettore di capirlo, ma non di sentirlo. Mettere semplicemente in ordine i ricordi non darebbe assolutamente il senso che per me e i miei fratelli ha un viaggio studio in Cina. Se avrete un po’ di pazienza, proverò a condividere con voi quest’emozione.

La nostra storia inizia nei primi anni ottanta, un periodo d’oro per le arti marziali, ma dove la confusione era tanta e non si sapeva bene cosa fosse il Kung fu. I primi maestri europei erano quasi tutti praticanti di Karate che sulla scia del mito di Bruce Lee, iniziarono ad avvicinarsi alle arti marziali cinesi. Come spesso accade però, mito e realtà iniziarono a fondersi, non permettendo così una ricerca attendibile. Consapevole che solo uno studio diretto delle fonti originali avrebbe portato la chiarezza necessaria, nel 1987 insieme ad un gruppo di altri maestri, il Maestro Falanga partì per un viaggio di circa due mesi nel sud della Cina. E’ da queste premesse storiche che nasce uno degli appuntamenti più importanti e longevi della Scuola, ossia l’annuale viaggio studio in Cina. Ora in 33 anni sono cambiate tante cose, la Cina è cambiata, ma anche lo studio e la ricerca compiuta costantemente dal Maestro lo sono. Una trattazione dei cambiamenti sarebbe estremamente interessante, ma ci porterebbe ampiamente fuori tema, in questo articolo ci limiteremo ad illustrare in cosa consistono questi viaggi e cosa più o meno possa accadere.

Partire per la Cina è il sogno di ogni praticante, un’esperienza che consiglio e auguro a tutti di fare prima o poi. Calpestare la terra che ha visto nascere la nostra amata disciplina, allenarsi duramente con grandi maestri nei loro maestosi e antichi parchi, vivere per più di un mese di solo Wushu tra allenamento, ricerca, sudore, sorrisi e pianti dovrebbe essere la massima aspirazione per un praticante. Arrivare in Cina non è solo un viaggio nello spazio, ma anche nel tempo, dove antico e moderno sono in continua lotta tra loro, nella costante ricerca di un’armonia che possa conciliare le due anime del paese. Nelle grandi città come Shenyang o Dalian, mentre si passeggia per le lussuose strade piene di grattacieli e mega centri commerciali, ti può capitare di girare in un vicoletto e trovare mercati all’aperto, con ambulanti che vendono di tutto e che soprattutto cucinano di tutto: spiedini di carne, ravioli, patate arrostite, scorpioni, e ti trovi travolto all’improvviso in un altro tipo di clamore, altri suoni, altri odori, un altro tempo. Basta solo girare il capo però, e quel mondo futuristico è ancora lì dietro di te. Ma andiamo con ordine.

I viaggi organizzati dalla Tongyuan hanno la durata di circa un mese. E’ dal 2010 che ho l’onore e il piacere di seguire il nostro Maestro nella sua incessante ricerca, la quale ci ha portato a visitare varie città: Beijing, Huludao, Jinzhou, Layang Shenyang, Dalian e tante altre. Negli ultimi anni, il nostro interesse si è focalizzato soprattutto sulle ultime due, dove incontriamo ben sei maestri: Guan Tieyun per l’insegnamento degli stili del il Wuxing Tongbeiquan e lo Yuanyangquan, Dong Xichang per l’insegnamento dell’uso delle le armi dello Yuanyangquan, Han Zhengbo e Yu Haiquan per lo Shaobeiquan, Liag Hongzheng e Zhao Xiuliang per il Qi Xing Tanglangquan. Gli allenamenti iniziano il giorno dopo il nostro arrivo e si dividono in due sessioni, una mattutina e una pomeridiana di 3 ore ciascuna. Di solito la nostra prima tappa è Shenyang, dove la mattina alle 6 ci alleniamo nel parco di Beiling, luogo stupendo e pieno di misticismo, che con la sua superficie di circa 3.300.000 mq, contiene al suo interno giardini, laghi, monumenti e tombe. In verità una delle caratteristiche più affascinanti per un praticante di Wushu, è proprio quella di passeggiare per il parco ed imbattersi in tanti maestri di diversi stili, che come il Maestro Guan, si ritagliano al suo interno delle piccole palestre naturali. Il primo allenamento della giornata è con il Maestro Guan Tieyun; qui gli studenti si dividono in due gruppi, chi studia il Tongbeiquan e chi studia lo Yuanyangquan. La pratica si sussegue ininterrotta, alternata da piccole pause in cui il Maestro illustra agli studenti la teoria dello stile. Ogni anno, al nucleo fisso di allievi che segue il Maestro, si unisce quasi sempre qualche novizio, ed è intorno alle 8 della prima giornata di allenamento che il novellino capisce perché gli allenamenti iniziano all’alba, infatti già dalle prime ore del mattino a Shenyang ci sono caldo e afa asfissianti in cui l’umidità può raggiungere persino il 98%. Finita la prima sessione si ritorna in albergo dove ci attende la colazione e una doccia calda. Dopo aver riposato qualche ora, si esce per la solita passeggiata con annessa ricerca del ristorante. La cucina è un altro valido motivo per recarsi in Cina, estremamente variegata come la cucina italiana, si possono trovare piatti straordinari, come i famosi ravioli, l’anatra alla pechinese, gli spettacolari spaghetti in brodo chiamati Lamien (da qui la derivazione giapponese di Ramen), le straordinarie zuppe calde, che dopo gli allenamenti sotto le tempeste estive di Shenyang sono un vero è proprio toccasana. Che dire c’è solo l’imbarazzo della scelta. Intorno alle 15 ci si riunisce nel parco per la nuova sessione di allenamento, che si alterna tra due favolosi stili, lo Shaobeiquan e lo studio delle armi dello Yuanyangquan. Quest’anno per esempio è stato particolarmente emozionante studiare con il Maestro Dong Xichang, allievo diretto del leggendario Gran Maestro Zhan Wancheng, detto Barbabianca. Un uomo piccoletto e anziano di 76 anni che ci ha introdotto allo studio del Da Ganzi, un bastone lungo circa 4 metri e dal peso di 20 kg, il cui uso e studio è propedeutico per dominare pienamente la lancia, arma regina dello Yuanyangquan. Mentre noi sotto il sole pomeridiano arrancavamo e sudavamo per maneggiare il bastone, il Maestro Dong lo usava con la stessa facilità e leggerezza che si ha nel maneggiare un ramoscello. Un’esperienza fantastica, con un maestro straordinario, fonte da cui è possibile attingere solo grazie al lavoro di ricerca compiuto negli anni dal Maestro Falanga. Finita anche questa sessione e giunta ormai la sera, di solito dopo la cena ci si dedica tutti al massaggio, o nei centri o presso i vari massaggiatori ambulanti fuori al parco di Beiling.

Dopo un paio di settimane, ci trasferiamo nelle altre città per continuare il nostro percorso di studi. Quest’anno dopo Shenyang ci siamo diretti a Dalian per allenarci nel Qi Xing Tanglangquan sotto l’attenta guida dei maestri Liang e Zhao. L’allenamento avviene nella palestra privata del M. Liang ed ha una durata di circa 4 ore. Chi ama il vero wushu tradizionale e gli allenamenti duri, al di là dello stile che pratica all’interno della TongYuan, non può non venirci almeno una volta nella vita. Sia il M. Liang che il M. Zhao sono estremamente legati alla tradizione e al combattimento, quindi il loro insegnamento è molto duro e intenso, sia fisicamente che psicologicamente. Ricordo con doloroso entusiasmo quando durante una sessione praticammo lo stesso calcio per tre ore consecutive, senza nemmeno una pausa. Per quanto io, Fulvio e Alessandro fossimo allenati, dovemmo andare a fare un massaggio alle gambe che comunque non si ripresero prima di tre giorni. Un giorno invece, avemmo l’immenso onore di essere ospiti e poterci allenare nel tempio del Qi Xing Tanglangquan, fatto erigere dal M. Liang. Situato in mezzo alla campagna di Dalian, il tempio sorge circondato dai boschi. L’interno ha qualcosa di magico e suggestivo con un’immensa sala adibita agli allenamenti totalmente in legno. Da questa sala si accede alla sala degli antenati, dove non solo sono esposti i quadri di tutti i grandi maestri dello stile, ma ad un lato della stanza, per tutta la lunghezza della parete è esposta una pergamena in cui è elencata tutta la discendenza dello stile. Aver potuto mirare quei capolavori storici ed essermi potuto allenare lì, rimane per me e i miei fratelli uno dei più grandi onori mai ricevuti.

La Cina però non è solo allenamento e studio. E’ stare insieme ai propri fratelli di allenamento e al proprio maestro, è condividere ciò che si ama, è divertirsi insieme passeggiando per i vicoletti, cercando un negozio di t-shirt per Nicolò. Ho tanti ricordi legati a questi 10 anni, sono stato testimone di tante avventure pazzesche, riportarle tutte trasformerebbe questo articolo in un libro. Per farvi capire che non esagero basti pensare che in una ci hanno anche arrestato perché convinti che fossimo spie. Oppure di quella volta che io, Fulvio, Giuliano e Baipi eravamo talmente ubriachi dopo una cena ufficiale con i maestri, da risalire le scale dell’albergo strisciando. Quella sera esaurimmo tutta la riserva di grappa medicale dello Shandong. C’è chi dopo quella sera ci definì eroi, io preferisco quella del Maestro: idioti. Ma non è di queste storie che vi voglio paralare, forse le illustrerò nel dettaglio in un altro articolo. Oggi voglio narrarvi uno degli episodi a cui sono più legato, la sparizione di Angelo e il suo attentato al Maestro.

Era il 2016, ed eravamo in tanti: Vito, Francesco, Alessandro, Angelo, Valentina e naturalmente io, Fulvio e il Maestro Falanga. Era da poco finito l’allenamento della mattina e ci trovavamo tutti nella vecchia palestra del Maestro Guan. Il Maestro ci avvertì che l’indomani non ci sarebbe stata lezione perché era stato invitato ad un evento sportivo ad Huludao e se avessimo voluto, avremmo potuto raggiungerlo. Non capimmo molto di cosa si trattasse, ma decidemmo tutti di andare. Siccome Huludao è a 300 km circa da Shenyang, decidemmo di partire in giornata, per essere puntuali la mattina. Non trovando i biglietti per tutti alla stessa ora il gruppo si divise: Angelo, Vito e Francesco partirono subito, il restante sarebbe partito nel tardo pomeriggio. Noi del secondo gruppo dovemmo optare per un treno in seconda classe, quindi ci trovammo circondati da bambini che urlavano e anziani che cucinavano di tutto nel vagone.

In particolar modo ricordo ancora con affetto paterno, un piccolo ragazzotto paffutello che si divertiva a correre per il corridoio, urlando e svegliando i poveri e noiosi passeggeri che cercavano di riposare, tra cui me e Fulvio. Ora è cosa nota il mio incondizionato amore per i bambini, ma lo è ancor di più il mio amore per le scommesse. Fulvio era convinto che non avrei avuto il coraggio di fare uno sgambetto al ragazzino mentre correva e urlava. Per non dilungarmi, le leggende narrano che quel bimbo volò sulle note della “Donna Cannone” di De Gregori e che da allora nessuno l’abbia più visto. Arrivammo a Huludao verso le ore 23 ricongiungendoci con gli altri. Fu qui che venimmo a sapere che quella che noi credevamo una semplice competizione a cui avremmo dovuto solo assistere, era invece una gara di Wushu con 4000 atleti, e noi eravamo iscritti. Senza neanche cenare i nostri ospiti ci accompagnarono agli alloggi. Ancora oggi non vi so dire che struttura fosse, una caserma o un collegio. Arrivati lì scoprimmo che le stanze erano solo tre e tutte doppie, ma noi eravamo in 7. Alcune coppie già consolidate presero subito possesso delle stanze: il Maestro con Fulvio e io con Alessandro; restavano fuori Vito, Francesco e Angelo. Uno di loro avrebbe dovuto dormire, non si sa dove, con il nostro accompagnatore, un simpatico gerarca del partito alto 1.40 m e largo 1.80 m composto prevalentemente di sudore. La scelta non fu basata su nessun principio democratico conosciuto, venne scelto Angelo solo su base gerarchica marziale e la scala prevedeva, prima Vito, poi Francesco, poi una maglietta vecchia di Vito, usata negli allenamenti, e infine Angelo. Fu l’ultima volta che lo vedemmo prima dell’inizio delle gare. In qualche modo la nottata passò e l’indomani vennero a prenderci per portarci al palazzetto. Ricordo che qualcuno di noi chiese timidamente notizie di Angelo, ci risposero con un sorriso. Giunti sul tappeto di gara finalmente rivedemmo Angelo. Subito gli chiedemmo come fosse andata, si limitò a rispondere che non aveva chiuso occhio. Dopo ad alcuni di noi raccontò di quella notte, ma per amore delle decenza e del buon gusto non racconterò cosa accadde. Vorrei tanto dirvi che le sue disavventure siano finite lì, ma non fu così. Terminata la nostra gara decidemmo tutti di andare a fare una passeggiata per l’enorme centro universitario che ospitava l’evento. Camminando, ci imbattemmo in grosso campo con delle palle e qui ci venne la felice idea di giocare a Palla avvelenata. Componemmo le squadre, da un lato: il Maestro Falanga, Alessandro, Francesco e Valentina; dall’atro lato: io, Fulvio, Vito e Angelo. Dovete sapere che Angelo si contraddistingue per due caratteristiche, la prima, come avete capito è sfortunato, la seconda che è estremamente competitivo. Iniziammo a giocare, e va detto che la nostra squadra, sia per rispetto che per paura, puntava a far fuori tutti tranne il Maestro, o perlomeno questo pensammo fosse il nostro piano tacito. Ad un certo punto però prende la palla Angelo, che pieno di gioia tirò una pallonata con tutta la sua forza, colpì il Maestro. Ricordo che si sentì un forte rumore di impatto, poi il tempo sembrò rallentare. Vidi gli occhiali del Maestro volare e cadere rovinosamente al suolo, dopo di ché il tempo si fermò del tutto. Francesco si scagliò a terra, Vito ed io ci nascondemmo dietro a delle colonne, Fulvio era inorridito. Angelo non riusciva a muoversi, era fermo impalato, forse stava rivedendo tutta la sua vita come in un film. Poi il tempo riprese, Angelo sì volto verso di noi urlando, “Ragazzi non l’ho fatto apposta, ditelo al maestro che non l’ho fatto apposta”. Di contro io e Vito gli urlavamo di fare silenzio e non guardarci nemmeno, perché straconvinti che il solo suo sguardo potesse renderci complici e colpevoli di quel gesto immondo. Fortunatamente per Angelo il Maestro si dimostrò magnanimo e divertito e lasciò vivere Angelo. Pensandoci ora, con il senno di poi, dopo quella Cina, Angelo lasciò l’Italia per trasferirsi in Bulgaria. C’è chi dice l’ha fatto per lavoro, chi per amore. A me piace pensare che l’abbia fatto per poter correre ancora libero sulle sue gambe. Ricorderò sempre quella giornata e Angelo.

Credere però che la Cina sia solo divertimento o vacanza sarebbe un grave errore. Come tutti sappiamo ogni cosa che è degna di essere vissuta ha in sé sia gioie che sofferenze. Sono tanti i sacrifici che ogni anno in primis il Maestro e poi chi lo segue compie.

Il primo più facilmente intuibile è quello economico, non è facile decidere di spendere i sacrifici economici di un anno, non per una vacanza con i cari o per una casa o altro, ma per partire per la Cina, per poter realizzare il proprio sogno e dovere marziale. Qualcuno potrebbe dire beati voi che potete permettervelo. Non è Così. Nessuno del gruppo storico degli ultimi dieci anni è miliardario; siamo economicamente come tutti gli altri. Solo noi scegliamo di privarci di qualcosa di fondamentale, come può essere una casa, un affetto, per scegliere di partire.

Non da meno è dura stare lontano dai propri affetti per un mese, in una situazione di stress, dove gli allenamenti giornalieri portano non solo a logorarti fisicamente ma anche e soprattutto mentalmente. Nonostante tutto, il M. Falanga, Fulvio, Alessandro, Nicolò ed io, ogni anno partiamo, sapendo cosa ci aspetta. Perché consci che ogni cosa è Dao, quindi bene e male, che ogni cosa che abbia un valore ha un prezzo da pagare, ma soprattutto perché coscienti di amare il Wushu e corretti verso i nostri ragazzi che ci aspettano a casa, che credono in noi, e da buoni maestri non possiamo non continuare questa eterna ricerca del vero. Per dirla breve, ogni anno si parte semplicemente per un motivo:

Noi apparteniamo al Wushu.

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